In occasione del compleanno del regista jugoslavo Dušan Makavejev, scomparso l’anno scorso, vogliamo analizzare ciò che il suo film * W.R.: I misteri dell’organismo* un classico del 1971, ha da offrire alle lotte odierne contro nazionalismo, fascismo e dogmatismo.
Al giorno d’oggi, quando pensiamo di resistere al fascismo, pensiamo di raccogliere informazioni su fascisti dichiarati, doxxing them, deplatforming affrontare fisicamente loro e la Polizia che li difende - in breve, pensiamo a una gamma molto ristretta di attività, strategie e desideri. Eppure, verso la metà del XX secolo, l’antifascismo era una corrente filosofica, scientifica ed estetica molto più ampia che andava dai surrealisti agli esistenzialisti, da Wilhelm Reich e Theodore Adorno a Suzanne e Aimé Césaire, Gilles Deleuze e Félix Guatarri e Dušan Makavejev.
Oggi, nell’era Trump, come nella metà del XX secolo, l’autoritarismo non è un’aberrazione ma una norma fondata su una società profondamente repressiva e gerarchica. Come i nostri predecessori, dobbiamo combatterlo a ogni livello, ricorrendo a un’ampia gamma di strategie e strumenti: dalle tattiche di strada alla pedagogia, alla filosofia e al cinema. Questo è lo spirito con cui rivolgiamo i nostri pensieri al film * W.R.: I misteri dell’organismo * di Makavejev.
Il seguente saggio è stato richiesto e pubblicato nel secondo numero di Antipolitika, la principale rivista anarchica balcanica, in un numero tematico che si occupa del lascito delle Jugoslavia. I testi di entrambi i numeri di Antipolitika—il numero 1 sul militarismo e il numero 2 sulla Jugoslavia—sono qui disponibili in inglese. Antipolitika è disponibile anche in serbo-croato e greco. Al momento, è in preparazione un terzo numero sul tema del nazionalismo.
Qui potete ordinare copie cartacee di Antipolitika. Potete anche scaricare questo testo come zine da stampare e distribuire.
WR: I misteri dell’organismo: oltre la liberazione del desiderio
L’anarchia, repressa nella maggior parte del mondo entro la metà del XX secolo, tornò in vita in svariati ambienti. Negli Stati Uniti ricomparve tra gli attivisti come gli Yippie (membri dell’Youth International Party Partito Internazionale della Gioventù); in Gran Bretagna riemerse nella controcultura punk; in Jugoslavia, dove una forma sostitutiva di “autogestione” in sul posto di lavoro faceva parte del programma ufficiale del Partito Comunista, apparve in un movimento cinematografico ribelle, l’Onda Nera. Come storici dell’anarchia, non ci occupiamo solo di conferenze e rivolte ma anche di cinema.
Tra tutte le opere dell’Onda Nera, W.R.: I misteri dell’organismo di Dušan Makavejev si distingue come film anarchico esemplare. Anziché pubblicizzare l’anarchia come un prodotto in più nel supermercato dell’ideologia, dimostra un metodo che mina tutte le ideologie, tutta la saggezza adottata. Ancor oggi ci fa pensare.
La lotta dei partigiani comunisti contro l’occupazione nazista ha fornito il mito fondante per l’identità nazionale jugoslava del XX secolo. Dopo la Seconda guerra mondiale, lo Stato jugoslavo spese milioni per finanziare blockbuster partigiani come La battaglia della Neretva e film inneggianti al sacrificio patriottico, senza che però trasparisse mai l’ombra dell’erotismo. Questi film mettevano in scena un mondo di binari morali: eroismo contro codardia, rigore contro indulgenza, comunismo contro fascismo.
Allo stesso tempo, la rottura di Tito con Stalin nel 1948 preparò il terreno affinché l’esperimento jugoslavo del socialismo andasse per la sua strada. Geopoliticamente, la Jugoslavia rappresentava una terza potenza insieme ai Blocchi Orientale e Occidentale; da un punto di vista economico, l’“autogestione” era la politica ufficiale del Governo; da un punto di vista sociale, la Jugoslavia avrebbe offerto un’alternativa più tollerante ed egualitaria al capitalismo statunitense e al totalitarismo sovietico.
Makavejev decise di mettere alla prova i limiti della tolleranza jugoslava. Esplorando le varianti marxiste, s’imbattè in un percorso inesplorato nelle opere dello psicoanalista austriaco Wilhelm Reich. Protégé di Sigmund Freud, Reich aveva fondato l’Associazione per una politica sessuale proletaria (Sex-Pol) per promuovere la liberazione sessuale; in libri come Psicologia di massa del fascismo, cercò di individuare il ruolo dei fattori psicologici nell’ascesa dell’autoritarismo. Estromesso dal Partito Comunista dai puritani filo-sovietici e in fuga dall’Europa a causa della presa di potere nazista, Reich fuggì negli Stati Uniti. Morì in prigione, dopo aver trascorso gli ultimi anni della sua vita come personaggio eccentrico che promuoveva accumulatori di orgoni, acchiappanuvole e altre invenzioni pseudoscientifiche, convinto di essere ancora l’obiettivo della persecuzione “fascista rossa” mentre la Food and Drug Administration bruciava i suoi libri.
Viaggiando negli Stati Uniti sulle orme di Reich, Makavejev intervistò i discepoli rimasti di Reich e filmando terapisti, artisti e imprenditori collegati a quella che Reich aveva soprannominato la rivoluzione sessuale. Tornato in patria, integrò il materiale con estratti di film della propaganda sovietica come Il giuramento e girò una sua sequenza immaginifica.
Tale sequenza costituisce l’essenza della trama non convenzionale di W.R., dividendo il film in due cortometraggi “Sex-Pol.” I primi 25 minuti sono, all’apparenza, un documentario su Wilhelm Reich e la sua eredità negli Stati Uniti, intitolato “1 maggio 1931, Berlino” - quando l’originale Sex-Pol di Reich avrebbe potuto realizzare questo film, nell’universo alternativo inventato da Makavejev. Il resto della pellicola, intitolato “1 maggio 1971, Belgrado”, è ambientato in una Jugoslavia immaginaria, in cui la protagonista, Milena,1 tenta di attuare la filosofia di Reich come una forma di comunismo di partito ortodosso.
“No, è autentico”, risponde Milena.
Assurto allo status di film cult fin dalla sua prima proiezione nel 1971, W.R.: I misteri dell’organismo fu censurato quasi immediatamente dalle autorità socialiste. Fu bandito in Jugoslavia per un decennio e mezzo.2 Lo stesso Makavejev fu costretto all’esilio in Occidente a seguito di una denuncia presentata contro di lui da partigiani veterani.
In molti sostennero il film. Il critico Petar Volk difese la libertà di criticare, insistendo sul fatto che Makavejev non avrebbe dovuto essere visto come “un tipico anarchico, né un tipico artista, un anti-artista, un comunista, un anticomunista.” Insistette sul fatto che ogni opera d’arte è politica, ma che anche quando l’arte critica, non dovrebbe essere vista come ostile.
La maggior parte degli esponenti della classe politica si espresse contro W.R. Uno di loro sostenne che: “Il film ha messo tutte le ideologie del mondo nella stessa fossa, ideologia dell’autogestione inclusa. Qualcuno qui ha cercato di difenderlo, dicendo che la lotta contro ogni dogmatismo non dovrebbe accettare alcun dogma. Sono d’accordo. Ma dobbiamo dire dove siamo, da che parte, per quale ideologia. Fascismo e antifascismo, stalinismo e antistalinismo non vanno d’accordo…”
Un altro: “Penso che questo sia un vero e proprio diversivo politico e un attacco a cose che consideriamo sacre, come Lenin, come una bandiera rossa comunista, il nostro movimento, i nostri sforzi e le vittime che abbiamo sacrificato e che sacrifichiamo per questo. Ciò sta gettando fango su tutte quelle cose sacre…” Un altro ancora disse che se Petar Volk si fosse presentato tra i suoi lavoratori con i suoi lunghi capelli, lo avrebbero buttato fuori a testa in giù per primo.
Anche dopo questo dibattito, la Commissione per la cinematografia autorizzò il film ma la pubblica accusa lo vietò il mese successivo. Il divieto fu revocato solo nel 1986.
In un’intervista del 1995, Makavejev attribuì il divieto di trasmettere W.R. alla continua influenza dell’Unione Sovietica in Jugoslavia. Eppure, alla fine, l’Occidente capitalista non fu certo più solidale nei confronti della sua produzione cinematografica iconoclasta. Alla luce delle sue tribolazioni su entrambi i lati dello spartiacque, possiamo vedere che la repressione esposta e vissuta da Makavejev non era limitata a un singolo contesto nazionale ma caratterizza allo stesso modo ogni nazione sotto il capitalismo e il comunismo.
“Non c’è niente in questo nostro mondo umano che non sia vero in qualche modo, per quanto distorto possa essere.”
Questa citazione, che Makavejev attribuisce a Wilhelm Reich, è la chiave per comprendere l’intero film. Deciso a esporre le distorsioni che la repressione aveva inflitto all’umanità, Makavejev presenta una delle più ardenti denunce dell’autoritarismo del XX secolo. Tuttavia, le sue motivazioni ultime sono compassionevoli e affermative. È come un medico che cerca di diagnosticare contemporaneamente i disturbi che affliggono sia il paziente sia la professione medica; ecco perché il film può sembrare così contraddittorio.
Date le due posizioni apparentemente opposte, Makavejev rifiuta sempre di prendere posizione, rivelando invece i fili conduttori che le legano. Come contrappunto alle prime due possibilità, ne introduce poi una terza, e questo serve come punto di partenza per una nuova opposizione da trascendere utilizzando lo stesso metodo. In questo modo, mina e trasforma i binari che erano essenziali sia per il cinema jugoslavo sia per la politica della Guerra Fredda.
Partendo da marxismo e Unione Sovietica (puritana, repressiva) da un lato e da capitalismo e liberazione sessuale occidentale (mercificata, sfruttatrice) dall’altro, Makavejev prende gli insegnamenti di Wilhelm Reich come base per una Jugoslavia immaginaria che rappresenta un modello comunista per la liberazione sessuale.3 Critica poi la liberazione sessuale intesa come ideologia, descrivendo un comunismo alternativo in cui la liberazione sessuale potrebbe essere realizzata in modo repressivo come avvenne con la liberazione dei lavoratori sotto Tito.
Come i dadaisti prima di lui, Makavejev presenta la sua critica attraverso la tecnica del collage: il montaggio è la sua risposta alla dialettica. Accosta i suoi documentari statunitensi a film propagandistici dell’Unione Sovietica, della Cina comunista e della Germania nazista e al suo film di propaganda jugoslavo fantasy. È come se lo spettatore passi da un canale all’altro con colonne sonore e temi che sfumano gli uni dagli altri; ogni transizione complica e intensifica la rete delle associazioni.
Per esempio, dopo un ritratto dei cittadini conservatori della parte del Maine dove si stabilì Reich, Makavejev torna lungo le strade di New York, presentando Jackie Curtis, la starlet di Andy Warhol, mentre passeggia tra le luci della zona commerciale con il suo fidanzato. Su questa scena, Makavejev inserisce uno spot radiofonico: “Il sole ti appartiene con Coppertone.” Gli Stati Uniti sono allo stesso tempo una roccaforte del conservatorismo provinciale e una terra di libertà in cui la differenza sessuale si manifesta come mercificazione del sé sul mercato dell’identità. Intolleranza provinciale accanto a tolleranza repressiva della metropoli - quella che Herbert Marcuse definì “desublimazione repressiva.”
La protagonista delle sequenze ambientate in Jugoslavia è Milena, apostola delle prescrizioni di Wilhelm Reich per la liberazione sessuale. Milena è l’incarnazione di un’ideologa: appassionata e dogmatica, ha sostituito l’ adesione alla linea del Partito all’effettiva realizzazione del suo programma. La vediamo leggere la propaganda di Reich, fumare un sigaro alla Sigmund Freud e seduta nel suo accumulatore di orgoni mentre la sua coinquilina, Jagoda, fa l’amore.
La voce di Milena nel film è anche la voce di Reich, ma dietro c’è la voce di Makavejev - la voce di uno jugoslavo che gira un documentario su Reich. Milena è il doppio di Makavejev, una parodia dogmatica del suo stesso interesse per le idee di Reich come programma di emancipazione - e del flirt della Jugoslavia con il marxismo. Il martirio di Milena è un’allegoria della persecuzione e dell’esilio di Reich, che prefigurano le sventure di Makavejev nella sua patria e poi in Occidente.
Nella scena più famosa di W.R., Milena esce sul balcone del suo appartamento per arringare i vicini in una sequenza che evoca i più grandi film di propaganda sovietici. “Il socialismo non deve escludere il piacere umano dal suo programma!” declama accompagnata da un applauso proletario, demagogo della libertà sessuale. “La Rivoluzione d’Ottobre è stata rovinata quando ha rifiutato l’amore libero!” (la telecamera riprende la sua coinquilina Jagoda, che sussulta “Guerra di liberazione!” mentre cerca -scherzosamente? – di sfuggire al suo amante) “Frustrate sessualmente i giovani e questi avventatamente si buttano su altre emozioni illecite… rivolte politiche con bandiere svolazzanti, combattendo contro la Polizia come comunisti dell’anteguerra! Ciò di cui abbiamo bisogno è una gioventù libera in un mondo libero dalla criminalità!”
Indossando un vestitino e una giacca militare, Milena costruisce il climax. “Il dolce oblio è la richiesta delle masse! Privali dell’amore libero e si impossesseranno di tutto il resto! Ciò ha portato alla rivoluzione. Ha portato al fascismo e al giorno del giudizio!” A prima vista, potrebbe sembrare che Milena stia sostenendo la liberazione sessuale. In realtà, sta preparando una ricetta per la desublimazione repressiva come vaccino contro la rivoluzione.
La scena finisce come un classico film partigiano, con tutti che cantano insieme una canzone popolare jugoslava – e, all’improvviso, la pellicola si sposta su una manifestazione a Pechino in cui decine di migliaia di persone sollevano all’unisono il libretto rosso di Mao. Stalin, divinizzato in un film di propaganda sovietico, si muove sulle note di una cetra: “Abbiamo dimostrato la nostra capacità non solo di distruggere il vecchio ordine, ma di costruire al suo posto un nuovo ordine socialista.”
Questo è il problema: come l’ordine eredita l’ordine, il dittatore sostituisce lo Zar proprio come Edipo sostituì il proprio padre. Il film passa a una scena in cui un detenuto in un reparto psichiatrico viene sottoposto a terapia con elettroshock e la cetra riprende, permettendo di fare delle associazioni tra leadership patriarcale, potere statale e imposizione istituzionale della salute mentale. Le norme della liberazione sessuale non sono più liberatorie delle norme del marxismo, che non sono più liberatorie delle norme del capitalismo.
Mentre il film fa un ulteriore passo, Milena va a vedere l’esibizione di una compagnia russa di pattinaggio artistico. Lei e la sua coinquilina sono in compagnia di due giovani soldati: “Consideratevi protette dall’Esercito popolare jugoslavo,” dice uno con fare civettuolo.
“Ma chi mi proteggerà da te?” risponde la coinquilina di Milena.
Milena non è impressionata dai soldati jugoslavi di basso rango. Mette gli occhi sulla stella del gruppo di pattinatori. È l’incarnazione della virilità nazionalista; il trucco di scena richiesto dalla sua professione ne accentua solo la gelida mascolinità. Quando lei gli si avvicina nel backstage per un autografo, lui risponde utilizzando le frasi di un libro del Partito Comunista. Il suo nome è Vladimir Ilich, un palese riferimento a Lenin.
L’attrazione che Milena prova per Vladimir Ilich sottolinea il fatto che i nostri desideri attuali non è detto che rappresentino una via di fuga dall’ordine che li produce. (“Sei bloccato nella tua sofferenza”, canta Leonard Cohen, “e i tuoi piaceri sono il sigillo”). All’inizio del film, abbiamo sentito Jackie Curtis descrivere il suo amante Eric come “un eroe americano” mentre Tuli Kupferberg si aggira per Manhattan con un mitra giocattolo, imitando un soldato americano. All’apertura del film, Kupferberg4 intona: “Colui che sceglie la schiavitù, è ancora uno schiavo?”
Milena porta Vladimir Ilich nel suo appartamento per far conoscere all’altero russo le idee del suo mentore, Wilhelm Reich. “Il suo nome è World Revolution,” spiega, dandoci un altro modo per interpretare il titolo del film. “Ci insegna che ogni brava persona come te e me nasconde dietro la sua facciata una grande carica esplosiva… Un grande serbatoio di energia che può essere rilasciato solo dalla guerra o dalla rivoluzione.”
“In me? Anche in me?” s’intromette la coinquilina di Milena, che si è spogliata. “Amore e crimine. Dammene un po’.“
In questo momento, accompagnato da un canto balcanico dai ritmi indiavolati, l’ex amante di Milena, il sottoproletario Radmilović, sfonda il muro come un supereroe dei cartoon di Deleuze e Guattari.5 Radmilović ricopre la funzione del fool shakespeariano: essendo uno zoticone ubriaco e sessista, può dire e fare cose che altrimenti sarebbero inammissibili nei film jugoslavi. Quando lo incontriamo per la prima volta, sta barricando una strada; accusa un autista alla guida di una BMW di essere un membro della borghesia rossa. Makavejev mette le sue idee anarchiche in bocca a una caricatura comunista di un anarchico per evitare alle autorità la fatica di doverlo fare da sole - una satira comica di una tattica socialista senza tempo.
Interrompendo la conversazione su Reich, Radmilović spinge spensieratamente Vladimir Ilich in un guardaroba e inizia a inchiodarne le ante. Milena è mortificata: “Libera l’artista del popolo!”
L’Es intrappola il Super-Io nell’armadio: chi la fa l’aspetti!
La scena torna a New York, dove Nancy Godfrey si prepara a realizzare un calco in gesso del fallo dell’imprenditore newyorkese Jim Buckley. Mentre la Godrey massaggia Buckley fino a procurargli un’erezione, vediamo Milena leggere ad alta voce uno stralcio di Stato e rivoluzione, di Lenin, in cui Lenin cita Engels:
“Il proletariato ha bisogno dello Stato, non nell’interesse della libertà, ma nell’interesse dell’assoggettamento dei suoi avversari, e quando diventa possibile parlare di libertà allora lo Stato come tale cessa di esistere.”
In altre parole, lo Stato (la concentrazione del potere e dell’autorità nelle mani di pochi) deve creare le condizioni per la libertà (la distribuzione del potere e del libero arbitrio a tutti su base orizzontale). “Kill for Peace” dei The Fugs irrompe nella colonna sonora, un programma altrettanto ossimorico.
Mentre la Godfrey avvolge con il gesso l’erezione di Buckley, la colonna sonora si sposta sul tema patriottico del compositore classico ceco Bedřich Smetana, “La Moldava.” Questa composizione collega naturalismo e nazionalismo, evocando la riverenza con cui la potenza sessuale maschile è venerata nella società patriarcale. La telecamera torna brevemente su Jackie Curtis che omaggia un santuario cattolico; la Santa Vergine sopra di lei ha in mano un teschio. Per un istante, vediamo Milena liberare Vladimir Ilich dall’armadio.
Nella scena dello stampo in gesso, Makavejev raffigura la riduzione della sessualità vivente a merce, una rappresentazione inerte. Quella che sembra una celebrazione della virilità e del potere maschile è in realtà una sostituzione equivalente alla castrazione: l’inorganico per l’organico, l’artificiale per il reale, il rigido per il flessibile, la statua dell’eroe per la carne dell’essere umano. Coloro che cercano lo status patriarcale e il potere politico fanno volentieri questo scambio, non capendo che questi soppiantano la loro personalità invece di integrarla.
Classico esempio di ciò è il cadavere di Lenin, conservato nella Piazza Rossa per consentire che i lavoratori gli rendano il dovuto omaggio. Manifesti in giro per l’URSS sfoggiano le parole di Vladimir Mayakovsky: Anche ora, Lenin è più vivo dei vivi.” Elevato allo status di superuomo come icona, Lenin non solo cessò di essere un essere umano vivente, che respirava - ma prosciugò anche gli altri della vita e della libertà.6
-James Agee, * Sia lode ora a uomini di fama,* citato nella biografia di Wilhelm Reich di Myron Sharaf, Fury on Earth (Furia sulla Terra). Sharaf compare in W.R. nel materiale documentario.
Quando la duplicazione dell’organo di Buckley è completa, W.R. torna alla bobina della propaganda sovietica, equiparando Stalin al fallo surrogato. “Compagni, abbiamo completato con successo la prima fase del Comunismo!” proclama Stalin, unendosi a tutti nell’applaudire la propria dichiarazione.
Questo è il Makavejev più pungente. Il “primo stadio del comunismo” stalinista è la riduzione della vita a materia inorganica: la sostituzione del duplicato con l’originale, dell’ideologia con l’esperienza, del programma con il desiderio, della permanenza con la presenza, del potere con il piacere, della nazione con le persone. L’inquadratura si sposta su un uomo in camicia di forza che sbatte la testa contro un muro più e più volte al suono di un altro inno comunista: “Ringraziamo il Partito, il nostro glorioso Partito, per aver portato felicità in ogni casa.”
In un momento in cui il Governo jugoslavo faceva affidamento sul cinema come uno dei mezzi principali per promuovere patriottismo e obbedienza, Makavejev era un rivoltoso che rivolgeva la sua arma contro i suoi superiori. Oggi, quando l’accesso ai mezzi di produzione mediatica è diventato così diffuso, è difficile capire quanto fosse fortemente sovversivo nel 1971.
Con quest’argomentazione, W.R. accelera verso la sua conclusione catastrofica. Milena e Vladimir Ilich stanno camminando insieme in un parco innevato. Finalmente, si baciano e, mentre la colonna sonora diventa un profluvio di violini dolenti, Vladimir Ilich pronuncia un soliloquio su Beethoven:
Non c’è niente di più bello dell’ Appassionata. Potrei ascoltarla tutto il giorno! È una musica stupenda, sovrumana. Con orgoglio forse ingenuo, penso: “Quali meraviglie possono creare gli uomini!” Ma non riesco ad ascoltare la musica. Mi dà sui nervi!
Suscita in me il desiderio di dire dolci sciocchezze, di carezzare gli uomini che, vivendo in tale sudicio inferno, riescono a creare tanta bellezza. Ma oggigiorno, se accarezzi la testa a qualcuno, lui ti morderà la mano! Ora devi colpirli sulla testa. Colpiscili sulla testa senza pietà, anche se in linea di principio ci opponiamo a ogni forma di violenza!
Al culmine di questo discorso, schiaffeggia Milena per aver tentato di toccarlo.
Queste parole, ovviamente, provengono direttamente dalla bocca di Lenin, grazie al mémoire di Gorky sul Grande Leader. Come l’ultimo homo politicus, Lenin temeva le esplosioni di sentimenti forti. Dal punto di vista tattico, tutti i sentimenti dovrebbero essere strategici, tutta l’energia pura dovrebbe essere incanalata in sistemi razionalizzati. Al posto di espressioni spontanee di amore per l’umanità, violenza spietata.
Mikhail Bakunin, l’anarchico rivoluzionario, è ricordato anche per il suo amore per la musica di Beethoven. Eppure non è mai fuggito dalle sue passioni. A Parigi ha vissuto con un pianista per ascoltare Beethoven ogni giorno. Poco prima dell’ultima rivolta che contrassegnò le rivoluzioni del 1848-49, Bakunin andò ad ascoltare la sua composizione preferita, la Nona Sinfonia, eseguita a Dresda; in seguito, fu accusato di aver bruciato il Teatro dell’Opera in cui era stato rappresentata. Nel 1876, nella fase finale della sua vita, intraprese un ultimo viaggio per andare a trovare ancora una volta il pianista: “Tutto questo passerà,” gli confidò Bakunin, “ma la Nona Sinfonia rimarrà.”7
Nel contrasto tra questi due rivoluzionari russi, vediamo due modi completamente diversi di relazionarsi con le innumerevoli ondate di emozioni che ci attraversano. Da parte di Lenin, vediamo controllo, austerità, ordine, violenza. Da quella di Bakunin, libertà, indulgenza, eccesso, amore appassionato, il fiume che esonda.
Sconvolto dalla sua stessa aggressività, Vladimir Ilich supplica Milena di perdonarlo. Furiosa, lei risponde:
Ami tutta l’umanità, ma sei incapace di amare una persona, una sola creatura vivente! Cos’è quest’amore che ti fa quasi sbattere la testa? Hai detto che ero bella come la rivoluzione. Ma non potevi sopportare che la “Rivoluzione” ti toccasse!
L’accusa di Milena contro Vladimir Ilich è l’accusa di Reich contro Lenin, Hitler e Stalin; è l’accusa di Makavejev contro Tito e contro tutto il potere patriarcale e la struttura della personalità. È anche una delle più feroci espressioni di disillusione nei confronti del socialismo di Stato del XX secolo.
Mentre Milena conclude il suo discorso, Vladimir Ilich l’abbraccia, pieno di rimorso e d’imbarazzo. Fanno l’amore.
Poi, sconvolto dalla vergogna post-coito, la uccide, decapitandola con un pattino da ghiaccio, emblema della sua professione. Non è sicuro dormire con il patriarcato.
Il film si conclude con due potenti gesti di affermazione e perdono.
Vediamo la testa mozzata di Milena su un vassoio per autopsie. Mentre la telecamera zoomma in avanti verso gli uomini della Scientifica, la testa prende vita e si rivolge a noi, descrivendo l’esito della sua relazione con Vladimir Ilich, “un vero fascista rosso.”
“Compagni!” proclama, indomabile anche nella morte. “ Nemmeno adesso mi vergogno del mio passato comunista.”
Questa è Milena che parla per Wilhelm Reich ma è anche Makavejev che parla - e attraverso di lui, è la Jugoslavia che parla, e l’intero XX secolo. Il rifiuto di Milena di vergognarsi del suo destino è Makavejev che benedice l’umanità: tutti i nostri goffi tentativi di liberarci, tutte le rivoluzioni e le lotte di liberazione conclusesi con dittatura e dogmatismo, tutta la nostra fragilità umana. Non c’è niente in questo nostro mondo umano che non sia in qualche modo giusto, per quanto distorto possa essere.
Poi la telecamera si ferma su Vladimir Ilich, l’assassino di Milena. Completamente svuotato, barcolla in mezzo alla neve, le mani lorde di sangue, come ripiegandosi inorridito su se stesso. Provate a immaginare cosa succederebbe se tutti i dittatori, i mercenari e gli stupratori nella storia mondiale capissero improvvisamente tutto il male fatto, vivendo in pieno la tragedia da loro inflitta.
Makavejev fa cantare a Vladimir Ilich “François Villon’s Prayer” del cantante russo Bulat Okudzhava, le cui canzoni all’epoca erano bandite in Russia:
Prima che la terra smetta di girare
Prima che le luci si abbassino
A ciascuno, Signore, ti prego
concedi ciò che gli è necessario…
A chi ha la mano aperta
Concedi tregua dalla carità
Un dono di pentimento a Caino
Ma ricordati anche di me…
Oh Signore, tu sei onnisciente
Io credo nella tua saggezza allora
Come il soldato caduto crede
Che in paradiso possa vivere ancora…
Come tutti gli uomini devono credere
Loro non sanno quello che fanno…
Concedi a ciascuno una piccola cosa
E ricorda, anch’io sono qui.
“E ricorda, sono anch’io sono qui,” supplica Vladimir Ilich, implorando un’impossibile assoluzione alla fine di un secolo di olocausti. “ Ricorda, anch’io sono qui,” ripete Okudzhava, e vediamo il sorriso di Milena diventare quello di Reich.
Nel dare pentimento a Caino, Makavejev ci implora a provare compassione - non solo per Milena, per Reich, per se stesso e per tutti coloro che hanno sofferto per mano dei dittatori, ma anche per Lenin, per Stalin, per Tito ed Eisenhower, per tutta l’umanità intrappolata in cicli in cui facciamo del male a coloro che amiamo. Questa è la risposta di Makavejev ai binari morali del blockbuster partigiano.
Parlando di W.R. anni dopo, Makavejev formulò questa riflessione:
Si può morire di libertà, come si può morire per troppa aria fresca, se non ci si è abituati… Penso che le persone che si controllano troppo abbiano ottime ragioni per dire che la libertà è pericolosa. Quando le persone ipercontrollate rilasciano la propria irrazionalità, spesso diventano caotiche, narcisiste, omicide o suicide semplicemente perché non riescono a fermarsi.
Ciò implica che la strada giusta per la liberazione è un processo gestito con cura in cui libertà d’espressione e soddisfazione del desiderio sessuale possono essere adeguatamente moderate. In altre parole, desublimazione repressiva. Ma si può davvero morire per troppa aria fresca?
Come spesso accade, il racconto è più saggio di chi lo narra. Non è la troppa libertà ciò che uccide Milena e trasforma Vladimir Illich in un assassino. Radmilović, rappresentante di caos e irrazionalità, non fa male a nessuno e riesce quasi a isolare Vladimir Ilich. Il problema non è la troppa libertà ma l’eccessivo controllo, l’eccessiva certezza, l’eccessiva dottrina. La concretizzazione di qualsiasi sistema totalizzante mette in rilievo tutti i suoi difetti e le sue controversie, li ingrandisce - come l’ USSR— fino a farli diventare grandi come dei continenti.
W.R. può essere letto come una semplice allegoria delle relazioni internazionali del XX secolo: infatuata dell’URSS, la Jugoslavia si getta tra le sue braccia, solo per essere tradita. Ma se leggiamo Vladimir Ilich in modo più astratto come simbolo del nazionalismo patriarcale, si potrebbe dire che Makavejev avesse predetto la guerra civile degli anni Novanta con vent’anni d’anticipo.
Come Milena, la Jugoslavia fu assassinata, dilaniata da correnti autoritarie che non erano mai state estirpate dall’autogestione di facciata del socialismo di Stato. Così come nessuna dittatura può creare le condizioni per la liberazione dell’umanità, in ultima analisi non esiste uno Stato antifascista. Gli stessi semi del fascismo e della guerra civile si annidano in tutti i nazionalismi, in tutte le valorizzazioni di potere e dovere. Tutte le nazioni saranno delle bombe a orologeria come la Jugoslavia finché non le smonteremo tutte fino alle loro fondamenta più profonde, che sono radicate nelle nostre profondità più insondabili.
Dovremmo attribuire il crollo della Jugoslavia a un eccesso di Es o a uno di Super-Io? Le guerre nazionaliste che hanno dilaniato il Paese rappresentavano un desiderio sfrenato che dava luogo alla violenza o erano causate da quelle forze che hanno sempre distorto e represso il desiderio? Il problema era troppa libertà a livello nazionale o troppo dispotismo a livello molecolare, a livello individuale?
Il modo in cui risponderemo a queste domande determinerà il modo in cui risponderemo alla violenza nazionalista nel XXI secolo: se pensiamo che sia un eccesso che sconvolge l’ordine esistente o che sia la manifestazione più pura di quell’ordine. Il problema è il desiderio in sé, che sarà controllato da leggi e interventi di organismi militari transnazionali? O è il controllo il problema, che possiamo solo minare dal basso verso l’alto mediante sovversione e trasgressione autonome? La soluzione è un nazionalismo maggiore - jugoslavo anziché serbo e croato, per esempio - o l’abolizione una volta per tutte di ogni forma di nazionalismo?
E come possiamo decidere di farlo senza sostituire il nazionalismo con un altro dogma, con un’altra ideologia? La metodologia e la compassione di Makavejev offrono un punto di partenza.
Ulteriori letture
Jennifer Lynde Barker, The Aesthetics of Antifascist Film: Radical Projection (L’estetica dell’antifascismo: una proiezione radicale)
Marc James Léger, “WR: Mysteries of the Organism Today” (W.R.: I misteri dell’organismo oggi)
Lorraine Mortimer, Terror and Joy: The Films of Dušan Makavejev (Terrore e gioia: i film di Dušan Makavejev)
Richard Porton, “WR: Mysteries of the Organism: Anarchist Realism and Critical Quandaries ” (W.R.: I misteri dell’organismo: realismo anarchico e dilemmi critici)
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Per costruire l’estetica documentaristica (fasulla) di W.R., tutti i personaggi principali, a eccezione del russo Vladimir Ilich, prendono il nome dagli attori che li interpretano. “Mi scusi,” interviene Vladimir Ilich a un certo punto, “questo è un fotomontaggio, non è vero?” ↩
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Nell’estate del 1971, personalità politiche e “operatori culturali” assistettero a una proiezione speciale di W.R. a Novi Sad per decidere se vietarlo o meno. Vi parteciparono circa 800 persone. La proiezione fu interrotta sia da applausi sia fischi; durante la discussione che seguì la proiezione, l’atmosfera fu carica di elettricità. ↩
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“”Sono stato in Oriente e sono stato in Occidente, ma non è mai stato così!” Vladimir Ilich dice della Jugoslavia di Makavejev. ↩
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Kupferberg era un anarchico, un pacifista e un membro della sovversiva rock band di New York City, The Fugs. ↩
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Per un esempio agghiacciante di come la “micro-politica non statalista” di sovversione affettiva possa essere riconquistata per un progetto repressivo nello stesso modo in cui il comunismo rivoluzionario è diventato la religione di Stato delle nazioni totalitarie, consultate “Walking Through Walls” (Passare attraverso i muri) di Eyal Weizman, in cui descrive come le Forze di Difesa israeliane abbiano utilizzato i concetti di Mille piani di Deleuze e Guattari per colpire in modo strategico i campi profughi palestinesi in which he relates how the Israeli Defense Force employed concepts from A Thousand Plateaus by Deleuze and Guattari to strategize assaults on Palestinian refugee camps. ↩
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“Ogni furia sulla terra è stata assorbita nel tempo, come arte, o come religione, o come autorità in una forma o nell’altra. Il colpo più letale che il nemico dell’anima umana può sferrare è rendere onore alla furia. Swift, Blake, Beethoven, Christ, Joyce, Kafka, dimmene uno che non sia stato castrato in questo modo. L’accettazione ufficiale è l’unico sintomo inequivocabile della rinnovata sconfitta della salvezza, ed è l’unico segno più sicuro di fatale incomprensione, ed è il bacio di Giuda.” ↩
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La Nona Sinfonia di Beethoven ha un posto di rilievo anche nei film di Makavejev L’uomo non è un uccello e Sweet Movie. ↩