Dopo gli scontri di Charlottesville e le successive manifestazioni antifasciste di Durham, Boston e della Bay Area, la lotta contro il fascismo è arrivata ad ottenere l’attenzione del grande pubblico. Decine di migliaia di persone hanno capito che la lotta al fascismo non è terminata nel 1945 – che oggi, mentre governi sempre più autoritari agiscono in collusione con dei movimenti fascisti in crescita, questa battaglia è più urgente che mai.
Vale la pena soffermarsi a rivedere ciò che gli antifascisti hanno realizzato da quando Trump è stato eletto. Malgrado le minacce e gli attacchi da parte di fascisti e forze dell’ordine, quelle che all’inizio erano soltanto poche centinaia di persone senza risorse finanziarie o sponsor sono diventate il fondamento di un movimento sociale di massa. Il 15 aprile i fascisti si sono scatenati a Berkeley, riprendendosi mentre picchiavano delle persone ed usando i filmati a scopo promozionale. Domenica 27 agosto gli stessi fascisti hanno cercato di tenere un’altra manifestazione a Berkeley. Come risposta all’assassinio di Heather Heyer durante una manifestazione fascista a Charlottesville due settimane prima, migliaia di persone sono giunte per bloccare l’adunata fascista. Immaginate se lo “Unite the Right” si fosse svolto senza proteste ed un migliaio di suprematisti bianchi avesse sfilato per le vie di Charlottesville senza nessuna opposizione. In un simile scenario, i fascisti ringalluzziti si sarebbero potuti presentare come una parte legittima dello spettro politico, mentre allo stesso tempo potrebbero preparare altri omicidi come quelli di Charleston e Portland. In quel caso, il governo guidato da Trump sarebbe stato in grado di presentare sé stesso come l’unica possibile soluzione per la violenza fascista e gran parte delle persone si sarebbe trovata nella condizione di chiedere assistenza a quelle stesse autorità che già ora stanno attuando gran parte dell’agenda politica suprematista. Dovremo essere grati a quegli antifascisti che ben prima dei fatti di Charlottesville stava eseguendo l’ingrato compito di monitorare le attività fasciste e mobilitarsi contro di essi. Ma ora che la lotta contro il fascismo si è fatta conoscere su larga scala è il momento di fare i conti con i limiti che il movimento si trova ad affrontare. Ogni vittoria genera nuove sfide. Cerchiamo di esplorare gli ostacoli che il movimento antifascista dovrà superare per riuscire a creare un mondo libero da ogni autoritarismo.
This article is available as a zine you can print out and distribute in your community.
I MEZZI DI INFORMAZIONE CORPORATIVI SUPPORTANO I FASCISTI
Il Washington Post ha coperto i fatti della dimostrazione di domenica 27 Agosto titolando “Antifascisti in nero attaccano una pacifica dimostrazione della destra a Berkeley”. Non ci sorprende che Fox News pubblichi della propaganda sfrontata descrivendo come un “prayer activist” [una specie di predicatore, ndr] l’organizzatore delle dimostrazioni dell’estrema destra nelle quali ha trovato cittadinanza almeno un omicida fascista, ma è più inquietante vedere come certa stampa liberale ripeta a pappagallo la propaganda fascista. L’immagine scelta come apertura del succitato articolo del Washington Post mostra un attivista dell’estrema destra che apparentemente viene spintonato da un antifascista con uno scudo. Eppure numerosi video mostrano lo stesso dimostrante dell’estrema destra che dapprima spruzza dello spray al pepe sui manifestanti antifascisti, senza che da parte loro vi fosse stata alcuna provocazione e successivamente si mette a spruzzare lo spray addosso a delle persone a caso, giusto prima che fosse scattata la foto incriminata. Se guardate attentamente, il dimostrante indossa una maglietta che celebra la mattanza dei dissidenti del dittatore cileno Augusto Pinochet, che successivamente faceva caricare i cadaveri sugli elicotteri per disperderli in mare. Se si guarda ancora più attentamente, si noterà come l’antifascista ha in mano un bastone ma decide di non usarlo, preferendo usare lo scudo per bloccare il fascista ed evitare che spruzzasse ancora lo spray. Nei fatti il Washington Post sceglie di usare un’immagine nella quale la mano destra del manifestante non è visibile ed è quindi impossibile vedere la bomboletta spray. Quando il Washington Post descrive questi fascisti come “pacifici”, suggerendo implicitamente che sono vittime anche se hanno attaccato delle persone e glorificato lo sterminio di massa, gli sta fornendo legittimità, assicurando loro spazi per reclutare, promuovere ed organizzare ulteriori attacchi. Perché un foglio liberale dovrebbe comportarsi in questo modo? Spesso i giornalisti determinano in anticipo quale sarà la sostanza della storia che racconteranno e pare proprio che un po’ tutti i media abbiano deciso ancora prima che i fatti accadessero di descrivere la dimostrazione antifascista di Berkeley come un’espressione di un eccesso di violenza. Nei fatti, la dimostrazione è stata per la maggior parte pacifica; perfino gli scontri peggiori sono stati molto meno violenti di quelli del 15 aprile. Nonostante questo, gli organi di stampa corporativi che avevano completamente ignorato il 15 aprile, hanno concesso uno spazio considerevole a pochi, isolati incidenti durante i quali gli antifascisti si sono scontrati con i fascisti e con altri sostenitori di Trump. Chiaramente l’intenzione è quella di porre un limite alla crescita della legittimità popolare che l’antifascismo avrebbe potuto ottenere dopo i fatti di Charlottesville. Due settimane di copertura positiva dell’antifascismo, durante le quali diversi membri del clero ne hanno lodato le gesta, devono essere state considerate troppe. L’omicidio di Heather Heyer ha colto di sorpresa i media corporativi, interrompendo la loro narrativa usuale e provando che la minaccia paventata dagli antifascisti, fino ad allora considerata sproporzionata, era reale. Agli editori ci sono volute due settimane per riprendere il controllo del discorso. Non appena ci sono riusciti, hanno ripreso i vecchi stereotipi, come se Heather non fosse mai stata uccisa. Questo dovrebbe mettere fine all’illusione che i media corporativi si possano schierare al fianco degli antifascisti. Fogli come il Washington Post aspirano a posizionarsi sia contro Trump sia contro i suoi avversari nelle strade – occupando quello che alcuni chiamano “l’estremo centro”. Scommettono sul fatto che la polarizzazione attuale della società sia solo temporanea e che essi possano diventare i beneficiari delle disillusioni di ambo le parti. Gli antifascisti devono porre in essere delle strategie sul come organizzarsi e legittimare i nostri sforzi per il grande pubblico senza l’effetto benefico della copertura dei media corporativi. Non è un compito facile. Come minimo richiede la dotazione di mezzi di comunicazione di base, ben sapendo che saranno soggetti agli attacchi sistematici dei troll dell’estrema destra. Questa sfida è sintomatica del fenomeno più ampio della polarizzazione, che vale la pena analizzare separatamente.
IL PENDOLO DELLA POLARIZZAZIONE
La società statunitense è scissa e polarizzata da anni, sin dalla recessione del 2008, se non da prima. Il movimento contro la polizia ed il suprematismo bianco che è esploso sul palcoscenico dopo i fatti di Ferguson nel 2014 e con Black Lives Matter ha generato una reazione dell’estrema destra, che a sua volta ha ispirato una ripresa dell’organizzazione antifascista. In tutta risposta i fascisti hanno messo al centro della loro strategia i liberali incazzati e gli antifascisti, cercando di provocarli per causare delle reazioni che potessero poi essere usate per mobilitare ulteriormente la base destrorsa. Milo Yiannopoulos ha utilizzato proprio questa strategia fino a che non gli è esplosa in faccia lo scorso febbraio, quando un black bloc di centinaia di persone ha bloccato un suo evento a Berkeley. Alcune organizzazioni fasciste e parafasciste utilizzano ancora questo approccio, adescando persone di sinistra e antifascisti con delle serie di eventi “free speech” a Berkeley, Portland e in altri luoghi in giro per gli States che hanno fatto guadagnare al nascente movimento fascista notorietà e slancio. Questo movimento è apparso pienamente formato per la prima volta proprio a Charlottesville – ma le onde d’urto generate hanno fatto sì che altra gente venisse attirata nei movimenti di contrasto al fascismo, cambiando ancora una volta l’equilibrio del potere. Le manifestazioni per la “libertà di parola” programmate dopo Charlottesville a Boston e nella Bay Area si sono rivelate dei totali fallimenti per i fascisti. In ognuno di questi casi, quando il pendolo della polarizzazione si spostava da un lato, il lato opposto era in grado di usare lo spettro di quella vittoria per attirare dalla propria parte più simpatizzanti. Con l’ausilio della narrazione dei fatti di Berkeley da parte dei media, il pendolo si è allontanato dagli antifascisti a beneficio della reazione della destra. Fino a che questo modello resterà in funzione, ogni vittoria antifascista produrrà una minaccia ancora maggiore proveniente dall’estrema destra e dal governo. Per uscire dal modello, gli antifascisti dovranno essere in grado di affondare colpi in modo da non permettere ai fascisti di passare all’incasso cavalcando la paura dei destrorsi, oppure trovare dei modi per attrarre a sé la popolazione più velocemente rispetto alla destra. Proviamo ad offrire delle ipotesi su come mettere in pratica quanto detto.
IL MITO DELLA SIMMETRIA
Donald Trump, in risposta agli eventi di Charlottesville, ha affermato che i fascisti e gli antifascisti sono ugualmente deprecabili. Ha suggerito che il problema fosse “un’esagerata dimostrazione di odio, di bigottismo e di violenza da entrambi i lati”, evitando di dire una singola parola sul fascista che ha ucciso Heather Heyer. Questo ci dovrebbe far riflettere riguardo a coloro i quali descrivono simmetricamente fascisti ed antifascisti. Equiparare chi combatte per libertà ed uguaglianza a chi vuole uno stato autoritario che rinforzi le gerarchie significa riconoscere che la legittimità appartiene solo ed unicamente allo stato – che è anch’essa una posizione autocratica. Significa celebrare la stretta legalità degli spettatori passivi rispetto agli eroi che combatterono la nascita delle dittature in Italia, Germania, Spagna, Cile, Grecia e almeno in un centinaio di altre nazioni. Significa congratularsi con chi non si è sporcato le mani mentre i suoi vicini furono catturati ed imprigionati, deportati od uccisi. Dobbiamo diventare abili a svelare le differenze etiche tra fascismo ed antifascismo e a giustificare le forme di azione diretta che possano realmente essere efficaci in questa lotta. Abbiamo bisogno di alleati provenienti da percorsi differenti che possano aiutarci ad estendere la questione ad un pubblico più ampio. Sfortunatamente nemmeno a sinistra tutti hanno un comportamento responsabile. In “How ‘Antifa’ Mirrors the Alt-Right” assistiamo alla ricomparsa di Chris Hedges, lo stesso personaggio che aiutò lo stato a dividere e reprimere il movimento Occupy e che ora riappare per eseguire lo stesso servizio in relazione ai movimenti contro il fascismo e l’amministrazione Trump. Non dovrebbe sfuggire a nessuno l’ironia di un giornalista di guerra che accusa continuamente gli altri di essere guidati da un desiderio di adrenalina. Ancora peggio è che Hedges, in quanto giornalista, si arroga il diritto di giudicare gli eventi di Charlottesville da lontano, piuttosto che rimettersi a persone come Cornel West che effettivamente è sceso in prima linea. Ma la vera ironia sta nel fatto che Hedges pretenda di metterci in guardia dal problema che lui stesso sta creando. Scrive infatti che “combattendo per le strade, gli antifa consentono allo stato corporativo… di utilizzare il falso argomento dell’equivalenza morale per criminalizzare il lavoro di tutti gli anticapitalisti”. In realtà è lo stesso Hedges che sta fornendo allo stato gli strumenti per farlo, attribuendo “la stessa brama di violenza” che crede motivi i fascisti anche agli antifascisti. Avrebbe potuto tranquillamente utilizzare il suo pulpito per smontare questa equivalenza morale, ma gli manca il coraggio – semplicemente non può fare a meno di mettere in atto quella “auto-promozione per la purezza morale” che egli stesso usa come arma di accusa verso gli altri. Nel 2012, quando alle autorità occorreva una narrativa attraverso la quale isolare gli elementi ingovernabili del movimento Occupy, Hedges gliela fornì e successivamente l’FBI la ripetè parola per parola per giustificare una serie di casi di istigazione a compiere reati. Ora Hedges sta fornendo lo stesso servizio all’amministrazione Trump dandole gli strumenti per dichiarare che gli “antifa” sono un’organizzazione terrorista, come da richiesta di molti esponenti dell’estrema destra. Già il sindaco di Berkeley ha detto che gli antifa sono una sorta di gang – immaginiamo se tutti coloro che si oppongono all’ascesa del fascismo fossero classificati come membri di gang o terroristi! Hedges deve capire che non è l’avanzata dell’antifascismo che provoca attacchi fascisti e repressioni governative. Anche se gli antifascisti non stessero guadagnando spazio nelle strade, i fascisti avrebbero comunque tratto vantaggi dalla disperazione e dal risentimento dei bianchi poveri, ed il governo avrebbe sviluppato altri mezzi di repressione: semplicemente non esisterebbe un movimento sociale per proteggerci da loro. E’ fondamentalmente paranoico, depotenziante e antistorico considerare questi sviluppi come il risultato dell’attività antifascista. Al contrario, è imperativo costruire le capacità di agire efficacemente per le strade prima che i fascisti ci sorpassino e che il governo sia in grado di centralizzare abbastanza potere da poter instaurare una tirannia una volta per tutte. Ciò detto, dobbiamo anche evitare di offrire ai nostri nemici di sinistra e di destra l’opportunità di presentarci come un’immagine speculare dei nostri avversari fascisti. Esploriamo alcuni modi in cui possiamo mettere in atto quanto detto.
IDENTITA’ E CONTENIMENTO
Per le persone degli Stati Uniti da un lato è stato molto utile imparare da altri movimenti antifascisti presenti in diverse parti del mondo. Allo stesso tempo però, l’introduzione acritica ed in blocco del modello europeo ha creato dei problemi, il maggiore dei quali è rappresentato dal contenimento della lotta al fascismo all’interno di un’identità distinta, “antifa”. Per l’estrema destra è un enorme vantaggio quello di poter descrivere gli antifascisti senza pronunciare la parola “fascista”: li aiuta a svicolare dalla domanda sul perché ci si dovrebbe opporre a chi vuole resistere al fascismo. In Germania le abbreviazioni sono comuni: i nazional socialisti diventano Nazi, l’antifascismo diventa antifa. Ma in inglese, soprattutto per coloro i quali non hanno familiarità con la storia della battaglie antifasciste tedesche, la parola antifa può apparire aliena e fuorviante. La peggiore delle cose successe al movimento antifa tedesco è stata il tendere al chiudersi in un isolazionismo subculturale; questa sarebbe l’ultima cosa di cui avremo bisogno negli Stati Uniti, bloccati come siamo in una massiccia lotta contro i fascisti ed il governo stesso: una lotta la cui unica speranza di vittoria dipenderà dal fatto che segmenti sempre maggiori della popolazione vengano dalla nostra parte della barricata. L’identità è fondamentale per distinguerci gli uni dagli altri. Ma l’antifascismo deve essere il minimo comune denominatore per tutti. Dobbiamo fare attenzione a non isolarlo entro determinate coordinate demografiche con dei linguaggi e dei codici di abbigliamento specifici. Questo è fondamentale in quanto la destra si sta muovendo rapidamente per raffigurare gli antifa come un’organizzazione monolitica, ostile ed aliena. Il nostro compito non consiste solo nel creare una rete di gruppi, ma nello scatenare un impulso antifascista che si dovrà espandere il più possibile negli strati più ampi della società, insieme alle critiche ed alle tattiche necessarie per questa battaglia. I gruppi antifa e la stessa concezione culturale di “antifa” ci saranno utili in questo progetto, così come le tattiche di black bloc, purché vengano valutati come strumenti per il raggiungimento di determinati obiettivi piuttosto che come espressioni identitarie o di appartenenza.
LA TENDENZA A MILITARIZZARE
Al crescere dell’intensità del conflitto tra fascisti ed antifascisti, assistiamo alla presenza nelle strade di un numero sempre maggiore di armi. Alcune persone presenti a Charlottesville hanno dichiarato che la presenza di gente armata di pistola da entrambi i lati fosse un bene: la cosa avrebbe scoraggiato i fascisti nel procedere ad un’escalation di violenza. Altri invece hanno asserito che la maggior parte degli antifascisti apertamente armati era dislocata piuttosto distante dalla zona degli scontri. Delle persone presenti a Ferguson alla nascita del movimento Black Lives Matter dicono che senza la minaccia delle pistole portata da membri della comunità locale, la polizia non avrebbe mai permesso che le manifestazioni avvenissero. Altri ancora che hanno vissuto il dramma di vedere i propri cari morti ammazzati da un colpo di pistola mettono in guardia dalle conseguenze di portare delle pistole in un conflitto di strada; conseguenze che sarebbero più pesanti di quanto si possa immaginare. I partecipanti alla rivoluzione siriana hanno raccontato che durante i primi mesi la rivolta ha creato degli spazi aperti di dibattito e di possibilità, portando alla partecipazione molte persone dai differenti percorsi di vita. Più tardi, con l’escalation del conflitto, sono stati i fondamentalisti religiosi ad accumulare il potere nelle loro mani, in quanto si sono rivelati gli unici in grado di fornire costantemente le attrezzature militari: da quel momento in poi le speranze di liberazione e di trasformazione sociale si sono fermate. A volte un’escalation di questo tipo è inevitabile, anche se sbarra le porte a delle possibilità future; in ogni caso, è meglio arrivare preparati ad una situazione del genere piuttosto che esserne colti di sorpresa. Ma se il nostro obiettivo è quello di una rivoluzione e non di una guerra civile, non dovremmo forzare questa escalation: dovremmo essere in grado di tirarla il più possibile per le lunghe.
La maggior parte dei cambiamenti sociali che auspichiamo non possono essere portati avanti solo con la forza d’urto delle armi. Allo stesso modo, non possiamo pensare che la forza coercitiva possa risolvere tutto, né permettere ai fascisti e alla repressione dello stato di tenerci così sulle spine da farci vedere nemici anche dove non ci sono e farci compiere attacchi contro le persone quando non sono strategicamente utili. Nelle parole di un vecchio veterano antifascista tedesco, la violenza fascista mira a sterminare, la violenza antifascista mira ad educare. Non dobbiamo avere fretta nell’abbattere dei martiri fascisti dopo l’assassinio di Heather Heyer. Non dobbiamo mai rischiare di essere visti come dei bulli. Deve essere sempre chiaro che siamo qui per proteggere la maggior parte delle persone, non per affermare la nostra autorità. Quando saremo costretti ad usare la forza coercitiva dovremo essere sicuri che questo non causerà la centralizzazione del potere e della legittimità all’interno del nostro movimento.
IL LINGUAGGIO DEL TERRORISMO
Sulla scia dell’omicidio di Heather Heyer, durante le manifestazioni e le veglie, si sono lette scritte come “la supremazia bianca è terrorismo”. Sebbene sia comprensibile che la gente voglia condannare l’omicidio il più duramente possibile, è pericoloso parlare di terrorismo in questo modo. Il concetto stesso di terrorismo è costruito dallo stato per definire chi ha il diritto di utilizzare la violenza e chi non ce l’ha. Quando denunciamo il suprematismo bianco come terrorismo, imitiamo il linguaggio del presidente del National Republican Senatorial Committee, senatore Cory Gardner e dello speaker repubblicano della camera Paul Ryan. Il termine terrorista è utilizzato per designare coloro i quali sfuggono al controllo dello stato e non possono essere ricondotti ad un allineamento politico con lo stato stesso. Questo spiega come mai l’assassino di Heather non è stato accusato di terrorismo, mentre negli ultimi 15 anni molti anarchici che non hanno fatto molto di più che provocare piccoli danni a qualcuno sono stati gravati di tale accusa. Quindi usare la stessa retorica dello stato rinforza i concetti e le narrazioni che le autorità in ultima analisi utilizzeranno contro di noi. Questo è pericoloso per i nostri movimenti e rappresenta un tradimento verso i compagni impegnati nelle lotte verso le quali spesso siamo allineati. I palestinesi sono tacciati di terrorismo per delegittimare le loro lotte contro lo stato di Israele. Anche l’Animal Liberation Front, l’Earth Liberation Front, le YPG e le YPJ in Rojava sono tutti accusati di terrorismo. Il linguaggio e l’ideologia della “guerra al terrore” sono stati accuratamente introdotti nel dibattito politico statunitense per preparare il terreno alle invasioni e alle successive catastrofiche occupazioni di Afghanistan ed Iraq. Il termine terrorismo ci giunge dal ruolo brutale e spietato del governo giacobino nella Francia del 1790: il termine fu inventato per descrivere il “regno del terrore” durante il quale migliaia di persone furono giustiziate. Anche se il termine fu coniato per i giacobini ed essi stessi se lo sono appuntati come una medaglia al merito, oggi alcuni storici sostengono che i giacobini non potevano essere terroristi in quanto entità statale portatrice di un potere legittimo. Questo ci dovrebbe dare un senso della misura in cui il discorso sul terrorismo serve allo stato per fornirgli carta bianca e nello stesso tempo delegittimare i suoi oppositori.
NON ESISTE UN AUTORITARISMO BUONO
La manifestazione di domenica 27 agosto a Berkeley aveva come slogan “no al marxismo in America”. Vale per questo lo stesso discorso fatto per la “Marcia contro la Sharia” dell’estrema destra: non c’è pericolo che un governo marxista si instauri a breve negli Stati Uniti. Come tutti i totalitaristi, anche i fascisti hanno un disperato bisogno di additare nemici che siano ancora più oppressivi di loro, in modo da convincere la gente ad unirsi alle loro fila. C’è una simmetria minacciosa tra i gruppi come l’ISIS e i fascisti occidentali, alcuni dei quali fantasticano apertamente di una “sharia bianca”. Questo spiega la loro ossessione verso il marxismo autoritario. Nei fatti, l’opposizione più fiera alle organizzazioni fasciste contemporanee non è venuta dai marxisti autoritari, ma dagli anarchici che si oppongono al potere statale stesso. Questo risulta scomodo per molti fascisti negli Stati Uniti, che hanno ancora bisogno di presentarsi come nemici del governo per attirare i libertarians a stelle e strisce e i conservatori tradizionali. Se i fascisti sono desiderosi di dipingere tutti i loro oppositori interni come marxisti, non dobbiamo precipitarci a dare loro assistenza. Certo, storicamente i marxisti autoritari hanno giocato un ruolo importante nella lotta al fascismo, ma non l’hanno fatto in maniera onorevole. Già nel 1871 iniziarono a tradire ed indebolire altri movimenti sociali. Se Stalin non avesse sabotato gli antifascisti della guerra civile spagnola e altri movimenti in Europa e non avesse stretto patti con Hitler, la Seconda Guerra Mondiale si sarebbe svolta in maniera assai diversa e ai movimenti di liberazione non sarebbero occorsi decenni per riprendersi. Sia il fascismo che il marxismo autoritario stanno vivendo dei momenti di ripresa. Ciò avviene soprattutto tra persone cresciute dopo la caduta del muro di Berlino, troppo giovani per avere avuto nonni vissuti durante la Seconda Guerra Mondiale. Per molti negli Stati Uniti il totalitarismo è un concetto completamente astratto, una cosa sulla quale scherzare su internet. Alcuni militanti di sinistra vedono la falce e il martello allo stesso modo in cui quelli di destra vedono la svastica: quasi come un meme provocatorio piuttosto che come un simbolo di oppressione. Perché anche Stalin ha messo in atto la pulizia etnica, così come altri regimi marxisti autoritari. Non ci si può opporre fermamente al fascismo senza opporsi a tutte le forme di governo autoritarie. Questo non vuol dire che i militanti delle organizzazioni comuniste autoritarie non ci possano essere compagni in questa lotta. Molti di essi sono compagni sinceri ed animati dalle migliori intenzioni e chiaramente abbisogneremo di più compagni possibile quando ci troveremo ad affrontare dei nazisti armati. Il punto è che gli antifascisti dovrebbero opporsi alle leadership dei partiti marxisti autoritari per le stesse ragioni per cui si oppongono ai fascisti e ad altri autoritarismi. Se qualcuno ha a cuore un membro di organizzazioni tipo il partito bolscevico, il modo migliore per avere cura di lui è assicurarsi che la sua organizzazione non raggiunga mai il potere, perché se la storia ci insegna qualcosa, è che questa persona cara sarà quella che finirà con le spalle al muro dopo di noi. Dobbiamo rendere chiaro a tutti che non intendiamo imporre una nuova dittatura, ma solamente aprire e preservare spazi di libertà. Non vi è nessuna soluzione statale contro la tirannia.
MARTIRIO
Purtroppo Heather Heyer non è stata la prima a cadere per mano fascista e non sarà l’ultima. Oltre a preoccuparci per i discorsi intrapresi sul terrorismo e sulla tendenza alla militarizzazione delle nostre lotte, dovremmo preoccuparci anche del martirio e della tendenza a celebrare la morte in battaglia. Abbiamo bisogno di trovare il modo di celebrare le persone soprattutto per ciò che sono state in vita, per ciò che ci hanno lasciato, non per il modo in cui sono morti o per il significato che la loro morte assume nelle nostre battaglie. Non bisogna iniziare a considerare noi stessi o gli altri come pedine di scambio a fini strategici. Viviamo in una società in cui a molti di noi l’invecchiamento e la morte non sono svelati, ci vengono tenuti nascosti. Se la lotta continuerà ad intensificarsi, molti di noi saranno costretti a capire cosa significa trascorrere settimane durissime in ospedale, ad incontrarsi ai funerali, nelle carceri e nelle aule dei tribunali. Bisognerebbe approcciare questo fatto come un’altra opportunità per conoscere meglio noi stessi e gli altri, per riconoscere cosa c’è di bello e di valido nella vita, in primo luogo le cose per le quali stiamo combattendo. Non dobbiamo subordinare noi stessi alla battaglia, ma riconoscerla come uno dei modi nei quali la vita scorre in abbondanza dentro di noi.
TAGLIARE LE RADICI
La stragrande maggioranza delle lotte antifasciste non si svolge per le strade. Si svolge nel modo in cui cresciamo i figli; nelle dure conversazioni sui posti di lavoro e nelle cene di famiglia; nelle relazioni con il vicinato e nei modi in cui concepiamo l’unità e l’appartenenza. Per vincere, dobbiamo permettere a persone di tutti i generi, etnie e religioni di lavorare insieme per sopravvivere alle tensioni del capitalismo; dobbiamo creare movimenti che possano offrire a tutti più di quanto i fascisti riuscirebbero mai ad offrire. In ultima analisi, un movimento antifascista determinato non dovrebbe focalizzarsi sul colpire gruppi fascisti talmente marginali da porsi al di fuori dello spettro politico, ma dovrebbe agire sulle infrastrutture attraverso le quali potrebbe essere emanato un possibile programma autoritario. Insomma, dovrebbe concentrarsi sullo stato stesso. Se ci limitiamo a combattere battaglie difensive, i fascisti guadagneranno l’iniziativa. Dobbiamo prendere le esperienze della lotta in comune che abbiamo potuto sperimentare nelle battaglie antifasciste ed usarle come punto di partenza per lavorare insieme e risolvere i problemi che abbiamo. Questo è il modo per passare al contrattacco e confrontarci con le principali fonti di oppressione. Alcuni credono che la loro vita tornerà presto alla normalità e che fascismo ed antifascismo torneranno ad essere cose del passato. Noi temiamo di non riuscire ancora a vedere quanto lontano andrà questo conflitto e che dovremo impegnare noi stessi nell’affrontare i nostri nemici. L’unica via d’uscita è passarci attraverso. Il doppio o niente.